‘Il Poeta è un Fingitore’. La versione di Briony.

«Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza».

Art. 497 Codice di Procedura Penale

 

Presente un tribunale? Di quelli maestosi, classici, stile roboante e perentorio, con crocifisso scolpito in legno e con palpitante scritta cubitale “La legge è uguale per tutti”, insomma, presente un tribunale? Ora, cerchiamo di immedesimarci ancora di più: tribunale, avvocati, crimine, difensori, testimoni, tutti termini assai frequentati in ambito giuridico, dai contorni definiti, non danno adito a dubbi di sorta. Tutti quanti sappiamo cosa stiano a significare, non ci sono ambiguità. Ci si mostrano davanti con la loro maestosa imponente chiarezza come se ci trovassimo di fronte a Díkē in persona. Ma non tutto è sempre così cristallino. O almeno non per tutti. Proseguiamo in questa associazione di immagini e si materializzeranno davanti ai nostri occhi nuovi concetti: giustizia, colpa, verità, menzogna, termini astratti, difficilmente incasellabili e poco malleabili, a differenza dei precedenti. Ecco, e se tutto questo dovesse essere associato ad una bambina, come la mettiamo? Immaginiamo e combiniamo: tribunale, avvocati, crimine, testimoni,  giustizia, colpa, verità, menzogna, bambina. Che climax strano. Irreale.

In realtà non è un climax, ma la trama di un romanzo. Solo che l’autore di questo romanzo ha aggiunto un ulteriore tassello al mosaico semiotico che ho provato ad accennare, ed è un tassello pesante, parecchio pesante, e si chiama senso di colpa. Ed assieme a lui la sua logica conseguenza, e si chiama espiazione.

1935, Inghilterra. 1999, Inghilterra. L’Inghilterra quindi racchiude l’ampio fluire di questa vicenda. Inizialmente mite ed afosa, edulcorata da aperitivi bevuti ai margini di una piscina o da preparativi per fastose cene di benvenuto, è una terra decisamente protettiva per Briony, figlia minore dei coniugi Tallis, bambina che ama passare il suo tempo a scrivere ed a immaginare storie da rappresentare di fronte ai parenti. E’ agevolata dal fatto che è ricca e amata, e quindi può permetterselo. Purtroppo questa condizione di ovattata serenità non le concederà di guardare in faccia l’altro lato della medaglia, ovvero prevedere le conseguenze delle proprie azioni, e nello specifico, delle proprie storie.

Può un racconto, un insieme di parole scritte su una pagina, modificare il corso degli eventi? Può essere una Verità cui appellarsi? Può trasformare il corso di una vita o di più vite? Se sì, allora che cos’è la Verità? Credo che leggendo ‘Espiazione’ di Ian McEwan, una lettura approfondita dico, che trascenda dalla superficie e dalle banali accuse di plagio che gli sono state rivolte, queste siano domande che inevitabilmente ci deflagrano addosso con tutta la loro potenza. La trama, su cui ho deciso di non soffermarmi, è decisamente ben costruita, ottimamente architettata con le sue tre parti e l’efficacissimo epilogo, lo stile è cristallino, fluente, particolareggiato, insomma, è un romanzo che funziona. Ma sotto che c’è? Questo è quello che conta.

In un racconto bastava desiderare, e poi mettere per iscritto il desiderio, e potevi crearti un mondo“, fa affermare McEwan alla piccola Briony Tallis: la portata esistenziale di questa frase all’apparenza innocua è immensa. Significa che colui che scrive ha il potere, totalmente divino, di creare e del suo opposto, di distruggere. E se questo potere è dato ad una bambina, la bambina inevitabilmente si scotterà. E scotterà.

Briony Tallis per dare un senso a ciò che stava capitando attorno a lei racconterà la sua verità, e questa distruggerà il mondo che fino ad allora era stato di suo appannaggio. Come personaggi di sabbia, si sgretoleranno padre, madre, fratello, sorella, cugini, villa Tallis scomparirà nel buio e non resterà che una versione dei fatti, una fredda versione dei fatti ripetuta ostinatamente più e più volte. Questa versione dei fatti deciderà prima del processo chi ha ragione e chi ha torto, e non ci sarà appello che tenga. Alla resa dei conti: due vite spezzate.

Sul potere terribile delle parole si è detto tanto, fin dall’antichità: Ulisse addirittura si fece legare ben stretto alla sua nave per evitare di cedere alle sinuose Sirene ed a ciò che cantavano. Libri sono stati bruciati perché portatori di diverse realtà, inaccettabili per la religione o per il sistema dominante. Uomini e donne sono stati uccisi, e non faccio riferimento alla mitica epoca omerica, bensì ad un passato molto recente. La scrittura è sempre stata un’arma assai pericolosa, sia per chi legge che per chi scrive.

In ‘Espiazione’, fin dalle prime pagine, si respira questa atmosfera rarefatta di attesa, di percezione di un disastro imminente, di una tragedia di dimensioni cosmiche, e non mi riferisco solo alla Seconda Guerra Mondiale, di cui il romanzo tratta nella seconda e terza parte, ma ad avvenimenti più intimi e meno noti capitati all’interno della famiglia Tallis in una calda notte d’estate. Briony Tallis dovrà fare i conti con quella notte tutta la vita, cercando di rimediare all’errore commesso in tutti i modi possibili, ma soprattutto con quello che riusciva meglio a fare, ovvero riscrivendo ciò che era accaduto. Ma, ancora una volta, modificherà la Verità, decidendo di permettere alle due vite spezzate di cui prima di vivere assieme felici e contenti. Almeno nelle pagine scritte.

Mi piace pensare che non sia debolezza nè desiderio di fuga, ma un ultimo gesto di cortesia, una presa di posizione contro la dimenticanza e l’angoscia, permettere ai miei amanti di sopravvivere e vederli riuniti alla fine. Ho regalato loro la felicità, ma non sono stata tanto opportunista da consentire che mi perdonassero, non proprio, non ancora.

Ritorna il leitmotiv della forza creatrice della parola, tema musicale conduttore di questa mia piccola digressione su ‘Espiazione’ di Ian McEwan. A parer mio non avrebbe senso, o almeno non lo avrebbe per la direzione ed il taglio che ho deciso di impormi a questo proposito, mettermi a discutere su chi ha ragione e chi ha torto, su cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, se Briony Tallis sia da inchiodare al crocifisso di legno nel Tribunale dei Personaggi Cattivi o sia da perdonare perché incapace di intendere e di volere o perché fornita di più che decorose attenuanti, no, il punto su cui mi voglio fermare è un altro, Vostro Onore.

Non c’è espiazione per Dio, né per il romanziere, nemmeno se fossero atei“. Questo dirà Briony Tallis ormai più che settantenne. Ultima prova a suo discapito.

Ci siamo, ecco il punto: si esprime a chiare lettere l’onnipotenza della Scrittura, la si avvicina a Dio, anzi la si sostituisce quasi a Dio, tanto da affermare che come lui, è imperdonabile. Perché è imperdonabile? Perché come Dio lo Scrittore crea, e decide per i personaggi che ha creato, nel bene e nel male, e quindi non gli è concesso il perdono, perché il perdono presuppone che ci sia qualcuno che ti possa perdonare, e questo non è permesso, né allo scrittore né a Dio.

Concetto eretico direi, di una portata devastante. Questo mi ha inchiodato al romanzo in questione, questo e non la trama, non le particolareggiate ambientazioni o le digressioni storiche. Questo. E’ un’illuminante rivelazione epistemiologica, mostra la totale forza creatrice del genere umano, la sua onnipotenza. Mente e scrittura come alternativa a Dio. Mica male per un romanzo che apparentemente tratta di una bambina che finisce per accusare ingiustamente di stupro la persona sbagliata. Mica male.

Un grande amico di Ian McEwan, Richard Dawkins, biologo ed evoluzionista britannico, scriverà:

« La selezione naturale è l’orologiaio cieco, cieco perché non vede dinanzi a sé, non pianifica conseguenze, non ha in vista alcun fine. Eppure, i risultati viventi della selezione naturale ci danno un’impressione molto efficace dell’esistenza di un disegno intenzionale di un maestro orologiaio; che alla base della complessità della natura vivente ci sia un disegno intenzionale, è però solo un’illusione. »

Ecco. Non c’è disegno intenzionale nell’universo se non quello generato dall’atto volitivo dello Scrivere.

Pessoa pure dirà una cosa interessante:

Niente si sa, tutto si immagina”.

Ecco. Non c’è verità in Espiazione, se non quella creata dall’atto volitivo dello Scrivere.

A questo punto il processo è finito, le prove sono state valutate ed analizzate, i testimoni presi in considerazione. Non ci sono vittime né carnefici. E, a parere mio, non poteva finire in un modo migliore.

 crocifissione

2 pensieri su “‘Il Poeta è un Fingitore’. La versione di Briony.

  1. Un blog in cui si parla di letteratura non è una cosa piccola: è un contributo alla bellezza e alla pace, è “just another brick in the wall” (quel muro all’ interno del quale vorrei che l’ orrore, l’ ignoranza, il culto del brutto rimanessero chiusi e che implodessero).
    Premesso questo veniamo all’ argomento.
    Come sono profonde e amare queste riflessioni, e come diventano ancora più attuali in questi giorni in cui troppi onnipotenti, improvvisati e non, si stanno sentendo in diritto/dovere di esercitare il proprio arbitrio creativo ad esempio fornendo la propria verità sui fatti di Parigi.
    Tanti di loro rendono testimonianze come quella di Briony, che condizionano vite umane.
    Penso che l’ imperdonabilità di chi si erge a creatore, la sua esclusione dal meccanismo del perdono perché non c’ è un soggetto terzo che possa giudicare ed eventualmente perdonare Dio non debbano deresponsabilizzare coloro che dalle “creazioni” di quel dio traggano vantaggio.
    Credo anche che l’ arbitrio creativo sia inviolabile ma che alla creazione ci si debba rapportare criticamente. Ad esempio la natura è meravigliosa ma se diluvia prendo l’ ombrello, o comunque se non lo prendo e mi inzuppo la polmonite che mi beccherò non è una colpa imputabile al creatore, come non è imputabile a Briony la colpa di chi ha trovato comodo basare un processo sulla testimonianza di una bambina fantasiosa.
    Passando ad altre onnipotenze credo che i giornali vadano letti, ne vada rispettato l’ arbitrio creativo, ne vadano vagliate e approfondite le affermazioni ma alla fine, invece di lasciare che condizionino vite umane, certi giornali come suggeriva Manuel Vasquez Montalban “…andrebbero usati per incartarci il pesce…”.

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  2. Caro Onironauta, belle parole. In questo momento, in cui l’atto della Scrittura pare sprofondare di fronte all’abisso che sembra ingoiarci tutti piano piano, in questo momento appunto trovare parole come le tue non solo gratifica, ma consola. Non risolve, non guarisce, ma consola. E credo anche che tu abbia toccato un punto nodale, è vero, a parer mio in certi casi tutto ciò di cui si avrebbe bisogno, in modo spasmodico, appassionato, intenso, sarebbe un rumoroso silenzio. Silenzio, che aiuti a placare le emozioni ed a comprendere quello che ci è dato di comprendere, Silenzio. Grazie ancora e a presto,
    Marina

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